Ora legale (pensando alla prossima isola)

 

Sai che l'ora legale mi mette euforia, vedo le giornate che non finiscono più e quando pensi d'aver fame sono passate le nove e cosi' il telegiornale é già sprofondato nella tv spazzatura e sei felice di aver perso il ritmo, il tempo, il rituale e guardando il cielo ancora chiaro penso che fra poco, poco ormai salirò su un traghetto con il mare della Grecia sotto, verso un insolotto che non conosco dove dirò le mie due parole di greco
kalispera, ti kani kalà? ena potiri crassi efkaristo, aspro né, me feta e psomi.... la signora vestita di nero entra nella taverna scura con la cornice blu che segna la facciata e le finestre, c'é un pergolato rinsecchito e i garofani sui davanzali, al tavolo contro la parete bianca, nella penombra lontana dal sole c'é il pope con un bicchiere di retsina e il rosario in mano, il sole picchia sulla pelle ancora chiara delle mie spalle e cammino svelto per sedermi al tavolino quadrato di legno e riparare i piedi scalzi. Seduto intingo il pane nell'olio e mangio un'oliva nera e grassa e a due metri c'é l'acqua trasparente del porticciolo con le barculle che saltellano piano al passaggio di un gozzo con le reti secche a prua; da qualche parte arriva odore di pane che immagino caldo e più in là l'autobus scassato costeggia scansando a fatica tra i tavoli e l'acqua. Io aspetto che il sole scenda un poco per andare a pescare e non vedo l'ora di indossare la muta, preparare i pesi, mettere la cintura dei piombi e sputare nel vetro della maschera ottica per evitare che s'appanni quando scenderò in acqua.

Mi lascio andare di schiena col fucile nella destra e premendo la maschera sulla faccia perché non scivoli via, mentre cerco di immaginare com'é il fondale sotto e quanti metri dal fondo. Arrivo in acqua con bolle d'aria che mi nascondono il cielo blu ma sotto un altro blu più intenso mi aspetta mentre un rivolo d'acqua fredda passa dal collo e mi allaga la schiena. Mi lascio ondeggiare senza battere le pinne per non spaventare improbabili pesci e intanto verifico i guanti e carico il fucile, appoggio l'impugnatura sopra lo stomaco, tendo il muscolo e tiro l'elastico fino a incastrare l'anello d'acciaio nella tacca dell'asta. Controllo di aver messo la sicura mentre ormai con lo sguardo ho scandagliato tutte le rocce attorno a me.
Ci sono castagnole che passano davanti al fucile senza paura e delle belle salpe che si fermano a branchi a brucare e la pancia diventa bianca come quella di un sarago quando s'inclina fino a cogliere la luce del sole...
non mi aspetto niente ma so che là a sinistra dove é già buio, almeno venti metri più sotto ci sono delle rocce con una visiera che dà ombra a una famiglia di cernie, le ho già viste il giorno prima, sono sceso senza pensare di tirare, solo per vederle e infatti ce n'era una fuori tana, con la testa che sporgeva un pò dal riparo e subito un'altra é arrivata da poco lontano, bella grossa, almeno 8 chili e sono sparite dentro tutte e due insieme sollevando una nuvoletta di sabbia.
Mentre risalivo a prendere aria sorridevo perché almeno le ho viste, questa notte prima di addormentarmi ripetero’ tante volte la scena pensando già a come dovrò scendere domani per cercare di prenderne una.
La retsina é in una bottiglia da mezzo col tappo a corona che si apre come la gazzosa, e la feta é coperta d'olio e origano che sa di sole. Finisco tutto in fretta, anche il pane e adesso fumerò una gitane, mi piace il pacchetto blu
e l'odore del latakia, il tabacco nero che la regie francese mette nella miscela.
Forse in paese sono già arrivati i giornali italiani, ma vado invece a sedermi al tavolino dove affittano le barche, sotto l'ombrellone, a parlare col mio amico Yanis, un pò in italiano un pò in greco. Nessuno dei due vuole usare l'inglese, non ce n'é bisogno, e poi Yanis dice "anglika pustides" e giù a ridere mentre riaffiora la complicità greco-italiana ed ecco che arriva il fatidico una faccia una razza.

Adesso posso salutarlo, ormai è il momento di saltare sulla barca e puntare fuori, piano, verso il mio pomeriggio incantato, guardando il solco bianco nell'acqua dietro di me.

21 aprile 2003

 

di Bruno Bonsignore