QUEST’ANNO LA GRECIA E’ MAGNA

Settembre 2004

Quando scendo dall’aereo a Brindisi il cielo ha lo stesso colore azzurrogrecia che ho sempre bene impresso negli occhi.

Questo fine di agosto lo dedico al Salento, la nostra grande Grecia misconosciuta e che adesso la moda ha deciso di imporre, dopo i soliti inglesi, tedeschi e francesi, anche all’attenzione degli italiani. Sono atteso da parenti simpatici e cordialissimi che hanno una casa "sulla spiaggia" a San Pietro in provincia di Taranto e non vedo l’ora di ammirare un mare che non conosco e mi dicono bellissimo. La strada e’ disegnata fra gli ulivi, leggermente ondulata, col rosso della terra a contrastare il verde argentato delle piante; i cartelloni stradali propongono l’oreficeria locale e mi viene in mente Taranto, col suo fascinoso Ponte Girevole e il Mar Piccolo e il Castello Aragonese che c’è in ogni città, capitale della Magna Grecia e dell’arte orafa e della ceramica, altro che italioti… e poi questa bizzarra manìa del miele di Federico II°, Puer Apuliae, che impose a tutte le fattorie dello stato la "sufficentia apibus" chissà perché.

C’è un viale d’accesso lungo almeno centro metri fiancheggiato da oleandri che porta alla casa. Nello spiazzo, con alberi di fichi belli maturi e una piccola costruzione con un tavolone di lavoro e il forno a legna, c’è spazio per diverse auto, con un provvidenziale canniccio che allevia i 40 gradi del sole. Su un filo sostenuto da alcuni paletti ci sono tovaglie bianche, magliette e costumi stesi ad asciugare che ondeggiano al vento.

Il pomeriggio è ancora lungo e c’è tempo per il bagno. Dalla veranda coperta il viale sabbioso prosegue sulle dune attraverso bassi alberi e macchie di verde mediterraneo, si varca un anacronistico cancelletto rosso sempre aperto e si scende ai tre chilometri di spiaggia, profonda una cinquantina di metri.

Il mar Jonio è blu, poi verde con striature turchesi e spinge onde decise per l’allegria dei ragazzini che le cavalcano e si fanno rotolare fin sulla battigia. E’ alta stagione e i pochi ombrelloni portati da casa sono distanti almeno dieci metri l’uno dall’altro in un’unica fila sparuta, non ci sono barche e moto d’acqua, solo qualche piccolo gozzo da pesca che costeggia piano.

Torno bagnato con la sabbia nei piedi fino alla doccia, un esile tubo piantato in terra prima di entrare in veranda, mentre sotto la griglia la carbonella è pronta ad accogliere le orate e tante piccole triglie rosse. I bambini marroni di sole hanno i capelli umidi e sanno di bagnoschiuma e aiutano a preparare due grosse tavole per dodici.

Non c’è fretta, l’ora di cena la stabilisce l’appetito dei commensali che arrivano alla spicciolata e sorseggiano Primitivo di Manduria, il vino locale che fa 14 gradi. La figura centrale e prima a sedersi è la nonna, una buona forchetta ottantottenne sorda quasi del tutto con una pelle che fa piacere accarezzare; ha in mano un libro di Pirandello, un’edizione UTET del 1938 che mi è familiare, infatti è uguale alla collana che mia madre teneva nel soggiorno, insieme con un’altra di dodici volumoni che ricordo si chiamava "Razze e popoli della Terra" e che non ho mai avuto il coraggio di aprire nemmeno una volta.

Arriva la Nenetta con due pani caldi appena tolti dal forno, Ciro porta una telia con uno stufato di peperoni e pomodori e va subito a stendere i pesci sulla griglia; sul tavolo ci sono due panieri colmi di focaccia alla cipolla e pizza, altri portano una boccia di ceramica bianca con insalata verde e pomodorini rossi.

Più tardi arriva un amico con una piccola fisarmonica cromatica e accompagna Mimmo che strimpella alla chitarra vecchi motivi d’anteguerra, accenna un valzer, un pezzo d’opera … Sul tavolo adesso ci sono mandorle e nocciole e dolcini, ormai il vino ha lasciato il posto all’amaro Borsci e all’acqua minerale. Non ci sono vicini abbastanza vicini da poter disturbare e non arriva il rumore delle automobili, così resta solo quello del mare che si spande con un rombo sordo sulla spiaggia lì sotto. I bambini sono a letto, qualcuno resta a parlare e fumare, io leggo su una sedia a sdraio, Graziella prepara ancora il caffè e Stefania che vive a Londra ha l’hobby della musica e racconta delle sue improvvisazioni al basso con un trio di amici… S’è fatta notte senza voler tirar tardi e il sonno promette una bella dormita.

Non c’è orario nemmeno la mattina, pane e biscotti sono sul tavolo e arriva continuamente del buon caffè bollente. Qualcuno è andato al negozio in strada a comprare frutta e verdura e ha anche portato i giornali, il campionato di calcio non è ancora cominciato e così si parla di tutto, i ragazzini passano in costume e scendono in spiaggia mentre qualcuno ha messo a cuocere il pane e adesso affetta le cipolle per fare una zuppa. Mimmo vuole farci assaggiare certi piccoli pesci dal nome strano che assomigliano al sarago e così l’accompagno. Si va con l’auto sulla strada proprio in riva al mare, ci sono piccoli scogli bassi che spuntano dall’acqua e la campagna subito lì con le sue ricchezze di colori e sapori; vedo auto e camper sparsi fra le dune e i ragazzini con salvagente e borse termiche che mi ricordano la Liguria degli anni ’50. La pescheria è un cubo di cemento bianco sopra le rocce, non ci sono porte e gli spruzzi del mare potrebbero entrare dai finestroni. Il ragazzino è sveglio e cerca di venderci un grosso dentice ma Mimmo sta già scegliendo i suoi piccoli saraghi e li infila nel sacchetto, pronti per la grigliata.

La nonna è già seduta e legge Pirandello mentre la tavola s’anima lentamente, arrivano piatti e posate, bottiglie d’acqua e tovaglioli ma è il vino ad annunciare che fra poco si mangia.

Fa troppo caldo al sole e la voglia di un tuffo in quel grande mare azzurro slitta sul tardi, quando gli ombrelloni si chiudono e si resta padroni della spiaggia e soli a guardare il sole rosso che scende. L’acqua a quest’ora sembra più calda e non c’è ancora il vento fresco che riga la pelle di brividi.

Le giornate a San Pietro sono così, paiono assomigliarsi e invece tutto è sempre diverso e la voglia è di stare, restare senza una data che ti fa andare. Ma c’è il richiamo di Alberobello, e si parte passando per Lecce, Ostuni, Otranto. A Lecce scopro che il barocco, a me piemontese abituato a linee e movimenti paffuti e un po’ grevi, può essere leggero ed elegante, con cattedrali a doppio strato dove puoi imbatterti nel romanico sormontato da una costruzione messa sopra alcuni secoli dopo, con fregi che paiono miniature fatte col bulino. Il giorno dopo saliamo a Ostuni, una sorta di Positano in mezzo alla campagna, vista mare, dove devi salire alla "città bianca", un intrico silenzioso di vicoli riparati dal sole, facciate bianche e il selciato di pietra lucidissima che pare lavato con l’acido, e una piazzetta rettangolare proprio in cima dove t’aspetta la Chiesa Cattedrale, romanico-gotico del XV° secolo in pietra gentile. Sono rimasto stupefatto ad ammirarla, seduto al tavolino del bar di fronte sorseggiando un ottimo caffè on the rocks allungato con latte di mandorla…

Otranto dabbasso sembra non offrire nulla ma lassù c’è il castello aragonese, un vero e proprio borgo cui manca solo un piccolo hotel per decidere di passarci uno straordinario week-end. Ma ora siamo in viaggio verso Alberobello, dove mi aspettavo di vedere un po’ di trulli sparpagliati sulle collinette e invece scopro un paese vero e proprio che sembra progettato da una banda di gnomi giocherelloni che si son messi a fare delle case ottagonali su cui poggiare i tetti rotondi (o viceversa, non ricordo) fatti con lastre sovrapposte di pietra scura, e poi su tutto un bel ciuffetto in muratura accuratamente rivestito e isolato, a proteggere dalla pioggia. Ad Alberobello la sorpresa ci rende tutti turisti, italiani o stranieri. Ogni casa è un insieme di trulli, praticamente uno per ogni stanza e di dimensioni diverse, e ci sono anche i trulli siamesi, i trulli-ristorante, il trullo-chiesa e il trullo-hotel dove vale la pena passare la notte, per completare lo stupore e lo stordimento da viandante.

L’aereo da Brindisi parte la sera tardi e ho tempo per riempire la lunga attesa con le emozioni raccolte durante il viaggio; passeggiando al porto compro un secchiello di mandorle e noci per pochi euro e… quel profilo scuro all’orizzonte è terra di sicuro, ma Albania o Grecia? Sul molo c’è un aliscafo bianco e blu che sta per staccarsi e chiedo all’agenzia di fronte dov’è diretto, a Corfù e Paxos dice, è una delle ultime partenze. Per non saltarci sopra penso che, dopo la Magna Grecia, l’anno prossimo tornerò in una di quelle isole della mia piccola Grecia.

Bruno Bonsignore