LA CRISI GRECA VISTA DA VICIN0

 

Un viaggio di circa un mese da nord a sud per capire gli effetti della crisi è insufficiente, ma l'impressione ricavata può bastare per valutare le immediate conseguenze. Autostrada Salonicco – Atene, la grande opera incompiuta, con i cantieri a singhiozzo da mesi per mancanza di finanziamenti pubblici. Già prima della crisi l'opera era soggetta a interruzioni, ma per altri motivi di carattere speculativo e corruttivo.
Traffico scorrevole, abbastanza intenso nelle vicinanze delle due città, rarefatto dopo pochi chilometri. Possono passare cinque minuti prima d'incrociare un veicolo nell'altro senso o di scorgere un'auto dal retrovisore. Traffico pesante quasi assente. Una grande opera che dà l'impressione di diventare inutile.
Anche nelle superstrade della Calcidica o in quelle che conducono a siti archeologici famosi come Delfi si vedono pochi automezzi. Parecchi distributori hanno chiuso i battenti. Impressionante il differenziale giornaliero sul prezzo della benzina, fino a quasi 40 centesimi per la verde. Si spende meno nelle vicinanze delle grandi città (1,58). Il prezzo aumenta a prescindere dalle marche, più ci si allontana, per toccare le punte massime nelle isole (1,95), dove fra distributori la concorrenza si riduce a 2-3 centesimi.
“Negli ultimi anni si è costruito troppo, soprattutto strade ed è tutta colpa dell'Europa” mi dice un benzinaio. Non faccio caso alle parole. Solo qualche giorno dopo mi rendo conto cosa voleva dire.


Siamo nella Sithonia orientale, in lontananza si vede il Monte Athos, cerchiamo una spiaggia famosa, Kriaritsi. La strada principale è deserta, ci fermiamo per consultare la carta della regione 1:150000. Dovrebbe esserci un bivio a circa 500 metri. I cartelli stradali sono stati quasi tutti abbattuti o cancellati con vernici da non si sa chi e perchè, ma guarda caso, dopo 500 metri ne troviamo uno intatto che indica la spiaggia. Svoltiamo verso il mare. La strada è larga e asfaltata, sale leggermente, incrociamo altre strade asfaltate, ma senza indicazioni. Teniamo quella che ci sembra essere la principale, ma presto ci vengono i dubbi. Gli incroci si fanno più frequenti. Saliamo di quota. Ci fermiamo con una sensazione d'ansia. Guardiamo sotto. Non crediamo ai nostri occhi: un labirinto di strade. Non ci sono case, solo qualche stalla, in lontananza vediamo qualche pecora che cerca di raggiungere l'ombra attraversando l'asfalto. Proseguiamo con prudenza. La strada si raddrizza, poi comincia a scendere. Forse ci siamo. Poi all'improvviso vediamo sparire il guard rail.
Ci fermiamo di colpo. Scendiamo camminiamo per tre – quattro metri e, all'improvviso la strada finisce. Sotto un precipizio di una ventina di metri, al di là del quale, scorgiamo la famosa spiaggia. Ci arrendiamo. Dietrofront per riprendere la strada principale. Come in un incubo i bivi, i trivi, i crocevia ci vengono incontro e tutte le volte temiamo di sbagliare.
“Di qui mi sembra di essere passato”. “Di qui sicuramente no”. Siamo in un labirinto. Comincia l'avanti e indietro. Dura più di mezz'ora che sembra un secolo. Non incontriamo nessuno per chiedere. Alla fine riusciamo a trovare la strada principale.
Ci fermiamo al paese più vicino per ritempraci con una bibita. Fa un gran caldo. Chiediamo al proprietario del bar il perché di quel groviglio di strade a pochi chilometri. Lui sorride :” Colpa dell'Europa. Prima ci dà i contributi per costruire le strade e poi ce li toglie”. Dopo le strade avrebbero costruito complessi per turisti. Tutto dietro quella spiaggia di sabbia bianca già dotata di un campeggio, il Paradissos. Paradiso per 50 camper e parecchie tende. Rimaniamo senza parole. I centri turistici più frequentati della Sithonia sono quattro: due nella parte occidentale e due in quella orientale. Gli unici turisti che vediamo sono Bulgari, quasi tutti dediti al campeggio libero. Vourvourou è la località che ci ha impressionato di più. Un paese di alberghi, bar taverne, negozi turistici, che si dilunga per un paio di chilometri seguendo l'unica strada che conduce a due archi si sabbia bianca, con fondale e colori caraibici Gli unici turisti sono bulgari , alloggiati nel camping. Da soli riempiono le due spiagge. Le poche strutture aperte lungo la strada sono desolatamente vuote.
Nelle due isole visitate, soprattutto a Skyros, la crisi del turismo è impressionante. Prezzi ridotti al lumicino nei ristoranti e nelle camere in affitto. Non chiedono nemmeno quanto ti fermi. Trenta euro al giorno per un appartamento nuovo di 40 metri sopra la spiaggia con una vista stupenda a 180 gradi. Chiedere uno sconto sarebbe indecente. Tredici euro a testa per mangiare, pesce fresco dolce compreso. La mancia al padrone diventa obbligatoria. Prezzi inferiori a quelli del 2004, anno della prima visita all'isola.
Raggiungiamo a piedi la cala di Diapori che ci aveva entusiasmato otto anni fa. Adesso ci si arriva con uno stradone europeo, in parte asfaltato, prima solo per un impervio sentiero. Sopra la spiaggia non c'era nulla e il litorale era pulito. Ora ci sono cinque costruzioni, di cui una sola è collegata ai pali della luce. Tre costruzioni non sono ancora terminate. Di una c'è solo il grezzo che da l'idea di un progetto alberghiero. Tutte e cinque sono vuote. Non c'è anima viva e siamo alla metà di giugno. Ci passa la voglia di fare il bagno, l'arenile è sporco, quasi irriconoscibile.
A Skyros si lamentano: si è costruito troppo, ci sono troppe taverne, ci sono troppi bar, troppi appartamenti turistici, molti sono in vendita, ma non si trovano i compratori. Sono stati costruiti in fretta e al risparmio.. Un disastro.


Alonissos: resti del Club Mediterranee- Alonissos

Alonissos: resti del Club Mediterranee

Skyros- sopra la spiaggia di Diapori

Skyros: sopra la spiaggia di Diapori

Ad Alonissos sopra la spiaggia più bella dell'isola, Chrissi Milia, c'è un nuovo villaggio, il Vera Club, che ha sotituito il Club Mediterranee, ma i resti di quest'ultimo, mai sgomberati rimangono a testimoniare lo scempio ambientale: casette cadenti, veicoli arrugginiti, piante che lottano contro il cemento. Il nuovo proprietario dovrebbe provvedere, ma non ci pensa nemmeno: gli affari vanno male e forse pensa di vendere, ma trovare acquirenti sarà difficile. E così c'è la possibilità che fa qualche anno sopra la spiaggia ci saranno due villaggi fatiscenti.
La “krissi”, ripetono e poi ci chiedono come ce la passiamo in Italia. Ci sembra di rassicurarli quando diciamo che va male anche da noi. Allora allargano le braccia: Merkel, le banche e ci infilano dentro anche gli armatori, dai quali si sentono traditi, perchè minacciano di far fallire le banche nazionali, ritirando i loro depositi milionari se il governo li tassa, venendo meno al patto storico, quando il nascituro stato Greco s'impegnò a esentarli in cambio delle spese sostenute per la costruzione della flotta greca, andata in gran parte distrutta.
A Delfi un orefice che aveva chiesto 25 euro per due orecchini d'argento e coralli, ci corre dietro per proporceli a 15 euro: “Ho una famiglia anch'io”.
Mi viene in mente il libro di J.K. Galbraith sulla grande crisi del 1929. Il mix mortale di euforia speculativa ed eccesso di produzione. Questa volta le scorte non possono essere immagazzinate o distrutte. Sono costituite dal cemento che ha distrutto il territorio. La bolla più pesante che ci sia. Il frutto di un mercato incontrollato all'insegna dello spreco per crescere all'infinito, fino all'ultima risorsa energetica disponibile, sacrificando l'ambiente.
Davanti a tanta desolazione una domanda mi sorge spontanea: che non sia proprio nella “crescita senza regole” il cancro dell'economia?